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“News from Nowhere” è un racconto silenzioso, una sorta di prologo, dove il “non luogo” non è inteso come spesso avviene, cioè come luogo abbandonato. Questo “Nowhere” è un senso di inadeguatezza, di non appartenenza alle cose, ai luoghi, alle città. È motivo e metafora. Quando l’architettura è sotto un cielo immutabile e i dintorni privi di passanti. Quando una visione algida e vertiginosamente precisa nel non frammentare e distorcere il punto di vista, trasforma gli edifici in astrazioni e da loro un movimento commisurato al ritmo della vacuità e dell’isolamento.
“News from Nowhere” si sofferma su luoghi del vivere.
Ludovico Balena vuole, si impone di essere “neutrale”. Per avere fotografie come neutre e ridotte a uno stato essenzialmente topografico, trasmettendo una quantità sostanziale di informazioni visive ma evitando completamente gli aspetti di emozione e opinione. Una rappresentazione quasi scientifica. Adotta un punto di vista "freddo" per sottolineare gli aspetti sublimi o “altri” delle cose di tutti i giorni. Un approccio figlio diretto di New Topographic, l'evento artistico che ha messo in crisi tutte le precedenti letture delle relazioni intercorrenti fra il paesaggio e la sua rappresentazione attraverso il mezzo fotografico.
Un processo di ricerca intellettuale ed estetica che influenzò molte generazioni di fotografi, costituendo un nuovo modo di guardare e fotografare.
Una luce fredda avvolge i soggetti, gli oggetti, elementi, persone, persino le giostre quando compaiono dinanzi ai suoi occhi. Questa luce fredda si scontra con l’armonia del filo poetico che lega la ruota della giostra con il mare e un pennacchio di un tendone del circo. Così nei nostri occhi, dinanzi alle sue fotografie, scorrono molte altre immagini – immaginate – dando vita ad un racconto tanto armonico quanto tagliente.
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NEWS FROM NOWHERE
DI FEDERICAPAOLA CAPECCHI
MOSTRA PERSONALE DI LUDOVICO BALENA
NEWS FROM NOWHERE
DI FEDERICAPAOLA CAPECCHI
PER PUBBLICAZIONE SU LUDOVICO BALENA
News from Nowhere è forme e volumi. Forme e volumi che sono l'essenza del paesaggio. Tendiamo troppo spesso a supporre che il paesaggio si riferisca a un terreno verdeggiante, forse visitato da umani, qualcosa come una pittoresca fattoria, magari anche vicino ad un fiume. Ma la parola originale, "landskyp" è una parola olandese che derivava dall'originale tedesco "landschaften" ed entrambe si riferiscono non affatto alla natura, ma a un sito "alterato dall'uomo" che è abitato. Così, per comprendere a pieno il lavoro di Ludovico Balena, dobbiamo stare a questa traduzione e a questo senso di paesaggio.
Allora verremo affascinati da paesaggi mozzafiato, che catturano scene impersonali ma ammalianti della natura e degli ambienti alterati dall'uomo. Ludovico Balena in News from Nowhere ha il dono di vedere la bellezza nella bruttezza, più precisamente il dono di rivelare che entrambe si appartengono. Le sue fotografie non celebrano la sublime eleganza della natura – le rare volte in cui compare -, ma mostrano un paesaggio alterato dall'uomo. Si concentra su soggetti piuttosto incolore, come complessi abitativi, architettura – spesso brutalista -, periferie di nuova costruzione o di vecchio abbandono. Rifugge dal rappresentare gli uomini. Non separa il naturale dal costruito, ma mira a spiegare il paesaggio attraverso "l'adattamento perfetto di tutti i frammenti, non importa quanto siano imperfetti". (Robert Adams)
News fron Nowhere deve essere letto lentamente e con attenzione. Cercando di entrare nel vuoto dello spazio aperto, delle forme, dei volumi, che spesso contrastano con il cielo. In News from Nowhere ogni singola fotografia funziona da sola, ma la combinazione di due immagini dà vita a una terza. Che è l'inizio di un viaggio. Un viaggio nelle tracce, viaggiare è sempre la ricerca di tracce da leggere e seguire; e la lettura di queste tracce è l'avventura che Ludovico Balena chiede allo spettatore di compiere.
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MEMORIA DELLA LUCE, UN VUOTO PIENO
DI FEDERICAPAOLA CAPECCHI
PREMIO LUCE IBLEA 2021 A FRANCESCO TADINI per la sua ricerca fotografica sul mosso e la luce
MOSTRA A CURA DI FEDERICAPAOLA CAPECCHI
tra un qui e un altrove, tra vuoto e luce,
sotto montagne di visioni, mentre la pelle si incide,
pensiero e movimento per lui sono tutt’uno
e immagina ... e crea
Così ogni tanto credo fotografi Francesco Tadini. Anche se l’ho seguito più volte mentre fotografa ogni tanto immagino questi venti che portano segni nuovi e riconosco una bellezza, con pochi precedenti, che lui crea di volta in volta nell’uso del mosso, della luce, dello scatto singolo a mano libera e del colore.
Hernst Haas ha risolto il conflitto di molti con il colore facendo della sensazione stessa del colore il soggetto del suo mondo. Nessun fotografo ha lavorato con più successo per esprimere la pura gioia fisica di vedere. Francesco Tadini ha risolto il conflitto di molti con l’attaccamento alla verosimiglianza, documentazione, ricostruzione meccanica della realtà facendo del mosso e della luce la forma principale di trasfigurazione, creazione e immaginazione, strumento innovativo e originale per restituire e tracciare la complessità del movimento e della luce stessa, dando forma e voce ad un’espressione artistica che disvela quello che non è percepito dall’occhio umano, tutte quelle vibrazioni ed essenze di forme, gesti e mondi che generano poi nel fruitore un forte coinvolgimento personale, anche emotivo.
Quella di Francesco Tadini è una ricerca che costringe lo spettatore ad essere anche fisicamente coinvolto nell’immagine; a lasciare abbastanza spazio in sé e fuori di sé perché l’immaginazione si scateni.
Attraverso uno spazio vuoto, spesso nero, a volte anche con sembianze di schermo, nell’ultimissima fase di ricerca di Light’s memory, Francesco Tadini accentua questo discorso sullo spazio. Che di volta in volta si fa camera oscura, palcoscenico, sembiante, significante.
Partire da uno spazio vuoto per dirigersi verso un pieno dell’essere. Un percorso proprio del teatro, come ci insegna Peter Brook. Perché la verità è concreta. Concreto è l’atto fotografico. Si compie qui e ora, nell’assoluto di questo presente e di questo spazio.
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IN CORPO LUCE
DI FEDERICAPAOLA CAPECCHI
SU "LIGHT'S MEMORY" DI FRANCESCO TADINI
Light’s memory si muove tra fantasie, narrazioni, regole (da trasgredire) e invenzioni. È una rimessa in gioco e in discussione dello spazio e del tempo.
Alcune rivoluzioni culturali dei primi del 900, tra cui il Futurismo, il Fotodinamismo e il Cubismo, hanno posto fine ad una limitazione che non lasciava spazio al concetto del trascorrere del tempo nello spazio delle fotografie.
Francesco Tadini in Light’s memory si immerge a piene mani, sguardo e movimento tra tempo, spazio e un limite. Un limite o un trampolino di lancio. Corpi marmorei femminili e maschili in bianco e nero che emergono da un fondo scuro, presi in un abbraccio confuso che potrebbe essere d’agonia, d’estasi o entrambe le cose. Corpi marmorei che marmorei non sono, ma corpo vivo, con il dinamismo del corpo vivo in movimento. Torsioni del busto che muovono muscoli e non pietra; persino gli organi interni, ne senti il correre del sangue.
Francesco Tadini con Light’s memory lascia un segno, portando un approccio nuovo, radicale e unico.
Si allontana da ogni sorta di esotismo o qualsiasi mossa aneddotica di descrizione, per mettere in discussione il tempo e persino la morte, con una libertà concessa da una distanza dal contesto – di cui rinnova ogni volta l’uso – a quadrati o rettangoli. A colori o in bianco e nero, con ogni rischio che lo porta ad esplorare un’illuminazione impossibile, permette alle fotografie di creare visioni enigmatiche e incinte.
Francesco Tadini con Light’s memory dimostra di avere una mente con la giusta svolta per riuscire a capire come attraversare le dimensioni … della fantasia, della realtà, del tempo, dello spazio, della luce. Light’s memory, “senza spazio e senza tempo”, come se Francesco Tadini e le immagini andassero insieme alla ricerca dell’essenza poetica nella semplicità, eppure introducendo chi guarda in un mondo immaginario, di invenzione, contemplazione e quiete, dove le sensazioni, i dettagli, gli oggetti, gli edifici, i soggetti sembrano venir recuperati dagli angoli nascosti della memoria. Donano luce alla normalità dei sentimenti.
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CITTA' SOSPESE
DI FEDERICAPAOLA CAPECCHI
MOSTRA PERSONALE DI ELENA GALIMBERTI
Duarte è un bambino che corre da solo. Con il suo skate percorre chilometri della sua Lisbona. Sua a modo suo perché Duarte, se gli chiedi di dov’è, ti risponde “Sou da Cidade dos Desejos (io sono di Città dei desideri)”. Con il suo casco e il suo skate corre per ore, si lancia per discese e piani, cerca i salti verso l’orizzonte vuoto, per volare sospeso nel niente. Quel niente in cui sogna ogni volta di stare sulla giostra di Berlino, di salire sulla Torre Velasca di Milano e di arrampicarsi sugli altri nuovi grattacieli. Vola tra i quartieri spagnoli di Napoli, si addormenta su poltrone arancioni tra Palermo e muri a secco più lontani, quelli più a sud; con Ikaro Alato plana sul tramonto di Noto e gioca a calcio con altri bambini davanti alle Chiese; ascolta i pensieri di Andreia sparsi nelle gocce di pioggia sul vetro. Si toglie il casco e si siede sul suo skate accanto ad Asante, al porto. Non sempre Asante gli rivolge subito la parola, il più delle volte lo guarda arrivare, gli fa un sorriso e stanno lì, insieme, in silenzio, ascoltando il mare, mentre la cenere della sigaretta di Asante cade a terra spessa, copiosa, come fosse di mille sigarette e Duarte la fissa, fino a quando non si fa tappeto volante su tutte le loro città sospese.
Le città sospese sono un mondo pieno di misteri e di desideri; una magnifica complessità fatta di infinite forme e colori, soggetti, particolari, persino incantesimi, tutti quotidiani e reali: la pelle di ogni città. Sono altrettanto le fotografie di Elena Galimberti che ci permettono di vedere il suo mondo attraverso i suoi occhi. Ognuna di esse racconta una storia che ne sospende (e contiene) altre, comprese le nostre personali, che Elena Galimberti ci permette di raccontare sul suo stesso selciato, sulle sue stessa architetture, sui suoi stessi colori. Ogni fotografia che non porta con sé volti e persone riesce comunque ad essere altrettanto evocativa di quelle in cui riconosciamo il corpo, la postura, gli sguardi, l’umanità. Una poltrona abbandonata in mezzo alla strada, una giacca appesa ad un muro di frasi, un’ombra.
Le fotografie di Elena Galimberti colgono luoghi e persone che sono sotto gli occhi di tutti. Il problema è che bisogna essere in grado di vederli per poterli fotografare. Elena Galimberti si immerge nel mondo che la circonda, è in costante movimento; ancor più è in costante ascolto. Lisce pareti di vetro dei nuovi grattacieli, case di mattoni, profili frastagliati in granito, strade, orizzonti, persone e oggetti raffigurano il senso di una città non solo l’aspetto urbano e culturale. Sono un viaggio nelle anime nascoste delle città, in quelle sospensioni di tempo e spazio che permettono all’immaginazione di attivarsi, alla sensibilità di manifestarsi, alla curiosità di ascoltare e vedere. Città potenti, città abbandonate (non certo perché siano vuote), città anonime, paesaggi rincuoranti e scorci taglienti: tutto è una scelta sofisticata come, al tempo stesso, un desiderio di semplicità. Un desiderio. Punto.
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ROBERT RIGER INTERVISTA A DAWN ABERG
DI FEDERICAPAOLA CAPECCHI
PER TG FOTOGRAFIA
Fotografia e grande fotografia sportiva. Una visione e comprensione non solo dello sport ma della sua anima, tanto quanto degli uomini – atleti che gareggiano.
Parliamo con Dawn Aberg, la Responsabile del Robert Riger Living Trust, che gestisce gli archivi Robert Riger. Insieme, io e Dawn, stiamo preparando un’importante ed emozionante sorpresa per il pubblico italiano … in presenza, con la riapertura ufficiale delle attività espositive, delle mostre istituzionali …
Prima di rivelare la nostra sorpresa, abbiamo voluto parlarvi di Robert Riger, uno dei più acclamati interpreti visivi dello sport a livello internazionale.
Dawn Aberg ci ha aperto un mondo di racconti di Robert Riger non solo come fotografo sportivo ma anche come persona (Dawn è la ex moglie di Robert). Ci ha accompagnato ad immaginarlo a bordo campo tra le sue 16 millimetri e le sue matite tipografiche; ci ha portato alle Olimpiadi del 1980 e del 1992 come alla grande celebre partita dei New York Giants contro i Baltimore Colts; ci ha fatto spiare negli spogliatoi mentre gli atleti si preparano alla gara; ci ha presentato molti protagonisti dello sport, dai giocatori di football ai giocatori di golf. Soprattutto ci ha aperto le porte dello studio di Robert Riger, da cui era collegata, In Alabama, permettendoci di muoverci anche noi tra scaffali, fotografie, stampe, disegni, libri. Abbiamo deciso insieme, infatti, che invece di farvi vedere le fotografie belle pulite, precise da file, forse, era più interessante navigare in questo studio, magari vedendole anche di sbieco, ma in qualche modo toccandole anche noi attraverso le sue mani che le porgevano al video e dunque a noi.
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Fotografia, fotografi, serie, cicli, chicche, particolari, storie, aneddoti, fantasie, visioni. I miei “tip of the day”.
Grandi nomi che tutti conoscono sui quali mi soffermo per approfondire un aspetto o un particolare; a volte fotografi poco noti ai più che, invece, hanno fatto la storia della fotografia; ogni tanto emergenti, nuovi fotografi scoperti per caso o con precisa dedizione da talent scout.
Oggi parliamo di un grande fotografo e fotografo sportivo: Robert Riger.
Un autore che amo molto, uno degli interpreti visivi più acclamati dello sport a livello internazionale.
Ve ne parlo anche perché, insieme a Dawn Aberg, il fiduciario del Robert Riger Living Trust, che gestisce gli archivi di Riger, sto preparando un’importante ed entusiasmante sorpresa per il pubblico Italiano … in presenza, con la riapertura ufficiale delle attività espositive, delle Mostre istituzionali, ma soprattutto con l’inaugurazione di una realtà unica. Ma di questo vi racconterò in seguito. Vi consiglio di non perdere il “focus on” di TG FOTOGRAFIA di venerdì 14 maggio 2021 dove intervisterò Dawn Aberg.
“Non puoi fotografare lo sport se non lo capisci completamente, e capisci e conosci gli uomini che lo praticano. La stessa intensità che hanno per gareggiare la devi avere tu per raccontarlo. Non fermarlo, ma sospenderlo per sempre nel tempo “. Robert Riger
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ROBERT RIGER E L'ANIMA DELLO SPORT
DI FEDERICAPAOLA CAPECCHI
PER TG FOTOGRAFIA